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EDITORIA

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PIETRE MILIARI: PINOCCHIO DI CARLO COLLODI

Mentre arrivano sullo schermo i nuovi adattamenti di Zemeckis e Guillermo Del Toro, ripercorriamo il caso editoriale più folgorante dell’ottocento italiano.

Carlo Lorenzini era uno di quelli che si intendono di tutto, e questo non lo rende particolarmente simpatico. In più era toscano, e ci sono poche cose più irritanti di un saccente con la c aspirata. Eppure Carlo Lorenzini si è conquistato la nostra stima incondizionata in quanto autore, sotto lo pseudonimo di Carlo Collodi, di uno dei libri più venduti, amati, interpretati, declinati e tradotti al mondo: Le avventure di Pinocchio.

Parlare di Pinocchio è come parlare della Divina Commedia: l’opera si presta a così tanti livelli di analisi che vien voglia di non scriverne affatto, che poi tanto sembra sia già stato detto tutto. Però i casi editoriali ci affascinano molto e allora abbiamo pensato di raccontare brevemente la nascita di uno dei più longevi best-seller nella storia del libro.

– C’era una volta…
– Un re! diranno i miei piccoli lettori

E invece no: c’era una volta Carlo, il figlio primogenito del cuoco e della cameriera della nobile famiglia Ginori di Firenze. Bimbo fortunato, Carlino: probabilmente per mantenere alto il morale del tipo che gli riempiva i piatti e di colei che glieli serviva, il marchese ne promuove l’educazione spedendolo in seminario. Carlo non diventa prete, ma i padri scolopi gli permettono di conseguire una cultura da tuttologo. Il ragazzo non solo si intende di filosofia, musica, teatro e – si presume – teologia, ma è così ben inserito nelle cerchie ecclesiastiche da aver accesso ai libri messi all’indice da Santa Romana Chiesa.

Carlo fa cose. Nel 1856 adotta lo pseudonimo di Carlo Collodi e nell’arco di vent’anni fa di tutto: partecipa alla Seconda Guerra di Indipendenza, collabora alla stesura di un dizionario di italiano e si mette a tradurre le favole di Perrault dal francese per l’editore/libraio fiorentino Felice Paggi. Già che c’è, decide di modificare qua e là i racconti per infilarci una morale cristiana, così i padri scolopi sono contenti. A partire dal 1877, Collodi intraprende la carriera di novelliere per l’infanzia e di lì a poco si cimenterà con le avventure di Pinocchio.

La strategia editoriale in cui si inserisce il legnoso burattino è molto interessante e ci porta a fare la conoscenza di un misterioso ebreo ungherese trapiantato in Italia: Ernesto Emanuele Oblieght. Trasferitosi a Firenze verso la fine degli anni ’60, Oblieght apre un’agenzia pubblicitaria con un’idea di business molto precisa: gestire in esclusiva la quarta pagina (quella della cultura, da non confondersi con la quarta di copertina) per conto di diverse testate giornalistiche. Praticamente l’ungherese aveva fiutato l’affare dietro le inserzioni pubblicitarie e i redazionali, precorrendo i tempi: il giornalismo italiano si stava staccando dai centri di potere politico per abbracciare quello economico/commerciale, come già era accaduto in Francia e Germania. Nel 1881, poco prima di finire al centro di una serie di scandali finanziari, Oblieght fonda il Giornale per i Bambini, prima testata italiana rivolta all’infanzia, assoldando Collodi tra le firme più prestigiose.

Con buona pace dei padri scolopi, Collodi inizia così a scrivere per il giornale fondato dal figlio del rabbino e diretto dal massone Ferdinando Martini, futuro Ministro delle Colonie del Regno d‘Italia. In questo complesso contesto economico/politico, il 7 luglio 1881 compare sul primo numero del Giornale per i Bambini la prima avventura del burattino bugiardo. Il successo si consuma in 15 capitoli, al termine dei quali Collodi, manco fosse Tim Burton, fa morire Pinocchio impiccato ad una quercia. I lettori non la prendono bene e – sotto l’insistenza anche del caporedattore Guido Biagi – l’autore decide di far risuscitare il burattino per fargli vivere qualche altra avventura.

Nel febbraio 1883 Collodi stringe un accordo con il suo vecchio editore Paggi per trasformare Pinocchio in un libro. Il testo richiederà all’autore una complessa revisione per essere trasformato in un’opera omogenea. Corredato dalle inconfondibili illustrazioni di Enrico Mazzanti, verrà messo in vetrina a 2,50 lire e nessuno avrebbe potuto immaginare che da allora le copie vendute sarebbero state letteralmente incalcolabili. Un numero significativo è però dato dalla sua diffusione in 240 lingue, che rende Pinocchio il secondo libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia. Neanche proviamo a trovare il numero delle trasposizioni: cinema, fumetto, danza… Pinocchio in centoquarant’anni diventa un’opera universale, un’opera che appartiene alla cultura e all’immaginario mondiale. Niente male per un personaggio che sembrava destinato a finire impiccato ad un albero sulle colonne di un giornalino…

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