EDITORIA
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Chiude la storica libreria Paravia di Torino, la seconda più antica d'Italia: "Amazon ci ha distrutti” https://t.co/ukb6KwiXcH via @repubblica
— Giuseppe Smorto (@giusmo1) January 15, 2020
Sulla chiusura della libreria Paravia di Torino leggo di persone che danno la colpa alle vendite on line,poi scopro che il 43,5% dei libri è venduto nelle librerie di catene,il 24% nelle librerie a conduzione famigliare e il 25,9% on line compreso Amazon.Qualcosa non torna pic.twitter.com/lpR8fCWB5v
— georgesolos (@tulipanobiancon) January 15, 2020
Sulla chiusura della libreria Paravia di Torino leggo di persone che danno la colpa alle vendite on line,poi scopro che il 43,5% dei libri è venduto nelle librerie di catene,il 24% nelle librerie a conduzione famigliare e il 25,9% on line compreso Amazon.Qualcosa non torna pic.twitter.com/lpR8fCWB5v
— georgesolos (@tulipanobiancon) January 15, 2020
Sulla chiusura della libreria Paravia di Torino leggo di persone che danno la colpa alle vendite on line,poi scopro che il 43,5% dei libri è venduto nelle librerie di catene,il 24% nelle librerie a conduzione famigliare e il 25,9% on line compreso Amazon.Qualcosa non torna pic.twitter.com/lpR8fCWB5v
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SUNSET BOOKLEVARD
In una manciata di settimane chiudono librerie storiche a Roma e Torino. Nei social impazza l’isteria collettiva, mentre la legge sul libro sonnecchia in Parlamento. Contraddizioni e ambiguità del declino delle librerie italiane.
Un bollettino di guerra dal fronte delle librerie italiane in queste prime settimane del 2020. A Roma chiudono due storiche Feltrinelli (di cui una in versione International, però) e a Torino abbassa definitivamente la serranda la libreria Paravia, la seconda più antica di Italia. Tutto questo un paio di settimane dopo l’appello per la salvaguardia delle piccole librerie lanciato dal presidente di ALI – Associazione Librai Italiani dalle colonne di Avvenire. L’articolo descrive un settore in crisi (quello della distribuzione editoriale, non quello editoriale tout-court), presentando i numeri di una situazione definita “al limite”. Testualmente parliamo di: “2.332 librerie chiuse tra il 2012 e il 2017, 4.596 posti di lavoro bruciati negli ultimi anni a causa della concorrenza del web e 160 milioni il costo per l’erario delle detrazioni fiscali per i libri di testo acquistati in libreria“.
Vi dicono nulla questi numeri? A chi scrive no, e la cosa è anche fastidiosa: a che serve fornire dei dati aggregati, per di più senza termini di paragone? Il dato sulle librerie è aggiornato a due anni fa e non descrive il trend. Il numero di posti di lavoro persi (mediamente di 750 unità l’anno) viene attribuito senza tentennamenti alla concorrenza del web, ma come si arriva a questa conclusione non ci è dato saperlo. Il costo per l’erario è invece del tutto incomprensibile: cosa dimostra? Onestamente da un’associazione di categoria figlia di Confindustria ci si aspettava qualcosa di più preciso e significativo. Anche perché questo intervento e le citate chiusure di Roma e Torino hanno prodotto un diffuso clima catastrofista sull’infausto destino delle librerie, che su Facebook ha raggiunto toni da romanzo d’appendice. Le librerie, ultimo baluardo romantico di un certo intellettualismo, tramontano sotto i colpi di scure della grande distribuzione o del web (a seconda dell’opinione del giornalista/blogger). E rifiorisce qua e là quell’insopportabile adagio che attribuisce ad Amazon le colpe di un declino che appare sempre più incontrovertibile. Come se il mercato globale lo avesse inventato Amazon ed esistesse solo in Italia.
A scanso di equivoci: no, non ci fa piacere che le librerie chiudano. Che siano una, mille o un milione, la chiusura di una libreria ha sempre il sapore di una resa. Ma una resa nei confronti di una società poco propensa alla lettura, non ad Amazon o alla GDO. Conclusione che ci sembra una lettura semplicistica e pigra di un fenomeno strutturale, da trattare con tutta la complessità che le strutture sociali ed economici impongono. Per farsi un’idea più organica della situazione e del perché le librerie chiudono, proponiamo l’ottimo contributo di Tiziana Zita su Cronache Letterarie: l’intervista a Paolo Nicoletti Altimari, titolare della Libreria (indipendente) Koob di Roma. Preparatevi, perché è come addentrarsi nelle trame del Trono di Spade. Sebbene vi consigliamo la lettura integrale, vi riportiamo qui alcune criticità del sistema editoriale italiano. È importante premettere che si tratta di un punto di vista parziale. Tuttavia apprezzabile, soprattutto perché analitico e scevro da inutili piagnistei o dalla ancor più inutile assunzione di un capro espiatorio. Descrive alcune caratteristiche peculiari del nostro paese, di cui sono gli ultimi anelli della catena a fare le spese: i librai (soprattutto indipendenti) e i lettori.
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- Il calo dei lettori. In Italia si legge poco e si legge sempre meno. Solo 4 italiani su 10 leggono più di un libro all’anno e la percentuale dei lettori forti viaggia intorno al 13% (dato gennaio 2019). Per avere un termine di paragone vi basti pensare che nei paesi Scandinavi oscilla intorno al 40%.
- Una distribuzione editoriale oligarchica. In Italia la distribuzione è in mano sostanzialmente a 4 gruppi, di cui Feltrinelli-GEMS (Messaggerie) è in una posizione dominante. Sottrarsi a questo oligopolio significa per un editore rinunciare alla capillarità di distribuzione, entrare in questo sistema vuol dire per gli editori indipendenti sottostare ai contratti senza potere negoziale. Il risultato è un peso della distribuzione altissimo nel costo di un libro: parliamo del 60% del prezzo di copertina.
- Una filiera in gran parte di proprietà degli editori. Succede solo in Italia che la distribuzione editoriale non sia indipendente, bensì di proprietà di una o più case editrici. Feltrinelli, Mondazzoli e Giunti governano la filiera accentrandone tutte le fasi, dalla produzione alla distribuzione finale, dettando sostanzialmente le regole del mercato.
- Una produzione ipertrofica. Se nel 1980 le novità editoriali arrivavano 13mila, oggi viaggiano sui 72mila titoli l’anno. Anche questo penalizza la piccola libreria che non riesce a star dietro alla quantità di opere prodotte, caratterizzate peraltro da una mortalità rapidissima. Ma questo penalizza anche gli editori, costretti a tagliare le risorse per inseguire i ritmi imposti dal mercato. Insomma, lo scenario è quello di un’editoria usa&getta che penalizza tutto il settore, soprattutto in termini di qualità espressa.
- Il rapporto tra Amazon e gli Editori. Il meccanismo di vendita di Amazon gli permette di attingere direttamente ai magazzini delle case editrici e di pagare in tempi molto più rapidi rispetto ai punti vendita fisici. Per questo le case editrici nutrono Amazon mentre affermano la necessità di contrastarne lo strapotere.
- Lo sconto sui libri. La legge che ne impone il tetto al 5% è stata approvata in Francia tra il 2013 e il 2014. In Germania i libri non sono proprio scontabili. Ma il paradosso è che in realtà il tetto attuale al 15% non è che produca più lettori: produce soltanto un innalzamento del prezzo di copertina per ammortizzare uno sconto praticato fin dai primi giorni successivi all’uscita del titolo.
A questo scenario di sistema vorremmo aggiungere alcune considerazioni, che tuttavia riserviamo ad altre letture. Per ora ci limitiamo ad attendere che la Legge sul Libro (che ricordiamo essere stata approvata con una larga intesa parlamentare) esca prima o poi dalle sale del MEF, dove riposa da mesi in attesa del parere economico favorevole. Poi toccherà al Senato esprimersi e finalmente capiremo se nel nostro Paese, in fatto di editoria, conta più la cultura o il mercato. Senza dare la colpa ad Amazon.