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AMAZON SALE IN CATTEDRA PER AIE

È solo che fa un po’ strano immaginare Amazon che fa lezione agli editori. Ma l’operazione un senso ce l’ha eccome, e sotto molti punti di vista…

La notizia è di quelle che fino a qualche tempo fa difficilmente avremmo pensato di leggere. AIE – Associazione Italiana Editori propone ai suoi associati un corso di formazione promosso da Amazon per lo sviluppo delle competenze in fatto di eCommerce, ovviamente con un taglio riferito specificatamente all’editoria digitale. Articolato in quattro incontri online, il corso tratta diversi argomenti collegati alla trasposizione online del catalogo di una casa editrice. Si va dalla conoscenza e gestione dei metadati ai sistemi di catalogazione, dalla classificazione semantica alle soluzioni pubblicitarie Amazon Ads e tante altre cose che presupponiamo essere molto tecniche e molto specifiche ma di cui ad oggi non ci è dato sapere.

L’operazione è interessante perché si basa sulla constatazione di diverse tendenze in atto nei comportamenti d’acquisto dei lettori. Sebbene la maggior parte degli italiani continui ad acquistare libri tra gli analogici scaffali delle librerie fisiche, sappiamo anche che il mercato online è in continua espansione, sia in termini assoluti che in relazione alla diffusione di ebook e audiolibri. In uno scenario del genere la formazione degli editori diventa strategica sotto molteplici punti di vista. Da un lato è necessaria perché nuove declinazioni dell’oggetto libro richiedono nuove competenze distributive, dall’altro una piattaforma come Amazon si propone come interlocutore privilegiato per fornire soluzioni strategiche utili alla distribuzione di un intero catalogo, cosa impensabile per qualsiasi libreria fisica. E probabilmente qui risiede anche il maggior interesse del sito che sorride, il cui motore principale è dato proprio dalla incredibile capacità logistica (peraltro nata proprio a partire dal business editoriale).

Negli ultimi giorni AIE è tornata alla ribalta delle cronache anche per essersi fatta carico – attraverso l’instancabile opera del suo centro studi – di una denuncia nei confronti dell’impatto della pirateria nel settore editoriale. Pare infatti che, a causa delle copie illecite, nel 2021 siano mancati all’appello 771 milioni di euro di incassi, ovvero il 31% del fatturato annuale complessivo generato dai libri. A voler guardare il bicchiere mezzo pieno, questo significa che gli italiani leggono molto più di quanto dichiarano le statistiche ufficiali. Il bicchiere mezzo vuoto traduce invece questo dato in 5.400 posti di lavoro in meno nella filiera e in un danno erariale davvero cospicuo. Cosa più grave segnalata dall’associazione di categoria, il tutto avviene nel sostanziale disinteresse di quel settore pubblico che sarebbe chiamato a vigilare. Insomma: (quasi) tutti gli italiani scopiazzano perché tanto il maestro è distratto e non se ne accorge.

In uno scenario del genere, lo sviluppo di competenze digital-commerciali potrebbe essere il preludio ad un cambio di prospettiva. Anni fa la pirateria musicale era una piaga rilevante, che costringeva le case discografiche ad imbarazzanti spot in cui il copiatore seriale di audiocassette era descritto come uno spacciatore di anfetamine. Poi abbiamo smesso di parlarne perché non ce n’è stato più bisogno: la rivoluzione digitale ha investito il settore e player come Spotify o Deezer hanno semplicemente reso superflua la pirateria. Chissà che domani servizi come gli Amazonici Kindle Unlimited o Audible non facciano altrettanto con la pirateria editoriale. Il che sarebbe una ottima notizia sia per il fatturato che per l’impatto culturale, un po’ meno per un possibile monopolio distributivo…

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