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EDITORIA

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LA COMPLICATA LUNA DI MIELE DEI PROMESSI SPOSI

Quel ramo del lago di Bolsena che volge… Sì, lo so! Ma mica era facile conquistarmi la vostra attenzione parlando dei Promessi Sposi, no? Quest’anno ricorre il 150° anniversario della morte di Manzoni e noi rispolveriamo la storia editoriale del suo capolavoro.

Per una significativa percentuale di persone, Alessandro Manzoni è il ricordo più o meno sbiadito di becere rime associate al suo cognome che accompagnavano la lettura scolastica dei Promessi Sposi (non che per un sedicenne possa trovare più appassionanti Leopardi o Foscolo, ma le rime in -ardi o -scolo non sono di facile reperibilità). In ogni caso, il ricordo del romanzo, o almeno di qualche suo frammento, accomuna intere generazioni di italiani almeno quanto la cicatrice del vaccino contro il vaiolo. Se mi trovo a parlarne oggi è perché quest’anno ricorre il 150° anniversario della morte di Manzoni, e mi è sembrata una buona idea ripercorrere la vicenda editoriale di quello che è probabilmente il più importante romanzo della letteratura italiana.

L’AUTORE – Verrebbe da dire che Alessandro Manzoni non ha bisogno di presentazioni, ma sarebbe uno sbaglio. Perché – fidatevi – è davvero difficile pensare di conoscere completamente una delle personalità più complesse (e in parte contraddittorie) della nostra letteratura. State tranquilli: non ne parlerò in dettaglio. Manzoni è stato troppe cose diverse per poterle trattare in questa sede. Ai nostri fini, ovvero per capire come venne fuori il suo capolavoro, di lui dobbiamo sapere poche cose essenziali. La prima – che probabilmente renderebbe la sua figura più interessante ai giovanissimi – è che Manzoni, don Lisander per gli amici, non aveva bisogno di lavorare. Era un possidente, un proprietario terriero. Persino un conte, però dimezzato a causa del fatto che le sue proprietà feudali erano situate in Piemonte, e dunque fuori dai confini dell’impero austriaco in cui era nato e viveva. Ecco: un’altra informazione indispensabile è che la sua città natale, Milano, era sotto il dominio asburgico. Ultima cosa importante da sapere, è che Manzoni fu protagonista di una conversione al cattolicesimo che fece piuttosto scalpore, e che meriterebbe un capitolo (meglio un libro) a parte. Di formazione illuminista e liberale, giunse alla fede cattolica passando per il pensiero giansenista diffuso in certi ambienti intellettuali milanesi e svizzeri. Se non vi ricordate cosa era il giansenismo, avete la mia comprensione: cliccate qui.

LA VENTISETTANA – La prima stesura de I Promessi Sposi risale al 1823. Quando Manzoni la porta a compimento, ha poco meno di quarant’anni e ha già composto Il Cinque Maggio, l’Adelchi e pure Fermo e Lucia, che è il cugino giansenista mai pubblicato de I promessi sposi. Nel 1824 don Lisander firma un contratto con il tipografo editore Vincenzo Ferrario, già noto sulla piazza per aver “importato” i romanzi storici di Walter Scott, da cui lo stesso Manzoni trae ispirazione. Il tipografo non lo sa ancora, ma ha appena acquisito un cliente molto difficile. Ferrario avvia subito la procedura per ottenere dalla censura imperiale il nulla osta alla pubblicazione (autorizzazione non scontata, visto che era già stata negata per la diffusione de Il Cinque maggio), ma in realtà la fretta si rivelerà superflua: Manzoni produrrà continue correzioni dell’opera, fino a dare il sospirato imprimatur tre anni dopo. Le duemila copie de Gli sposi promessi (questo il titolo originale) vengono date alle stampe solo nel giugno 1827, e per questo la prima edizione prenderà il nome di ventisettana. Il successo in compenso è folgorante è immediato: in sei mesi non solo vengono esaurite le copie, ma spuntano almeno otto pubblicazioni pirata. Cosa che non rende proprio felicissimo don Lisander: va bene gli ideali, va bene la provvidenza, va bene l’utile e il vero… ma pure il portafoglio vuole la sua parte.

LA QUARANTANA – Dopo ben 13 anni, Alessandro Manzoni torna sul luogo del delitto: decide di realizzare un’edizione rivista e corretta dei Promessi Sposi. Nulla di così traumatico come il passaggio da Fermo e Lucia a Gli Sposi Promessi, ma una revisione stilistica e soprattutto linguistica, scaturita dall’aver risciacquato i panni in Arno, come orde di insegnanti ci hanno raccontato. Insomma: Manzoni riscrive l’opera in fiorentino, lingua che più di ogni altra gli appariva coerente con la vera lingua italiana popolare. Ed è pronto a sobbarcarsi le spese di pubblicazione. Si tratta di un investimento notevole per lui, che tra l’altro ha un conto in sospeso con la pirateria. In assenza di una legge sul diritto d’autore che lo tuteli, don Lisander decide di adottare alcune accortezze per contrastare il fenomeno. Una in particolare si rivelerà significativa anche sotto il profilo artistico: la dotazione di un corredo grafico d’autore pensato per stimolare l’acquisto della versione originale. Insomma, se la televisione è ancora lontana, chi rinuncerebbe a possedere il più grande romanzo popolare italiano nella sua versione corredata di immagini? Le incisioni vengono affidate ad artisti di fiducia scelti da Manzoni, che però deve incassare i rifiuti di Hayez e di Louis Boulanger. Sarà dunque Francesco Gonin l’autore della maggior parte delle incisioni, seguito con cura maniacale dallo stesso Manzoni. No, non deve essere stato affatto semplice lavorare con lui. Nel 1840 la tipografia Guglielmini e Radaelli dà alle stampe la Quarantana, la nuova edizione dei Promessi Sposi, che viene distribuita in sottoscrizione e contiene la Storia della Colonna infame (simpatico gadget per incentivare le vendite). Stavolta è un fiasco. Delle diecimila copie ne vengono vendute circa la metà e Manzoni rientra appena della metà del capitale investito. Come se non bastasse, riprendono a circolare copie “contraffatte” dell’opera. Brutto colpo per don Lisander.

LA CRITICA – In un eccesso di ottimismo, Umberto Eco sostenne che i ragazzi dovrebbero leggere I Promessi Sposi come fosse un libro proibito, anziché come un’imposizione scolastica. Tipo autoipnosi, immagino. Non so se la raccomandazione sia mai stata seguita da qualcuno, ma trovo che ci sia un altro approccio in grado di suscitare una certa empatia verso i Promessi Sposi, ovvero partire dalla considerazione che no, l’opera non è mai stata universalmente apprezzata. Anzi. Due secoli di detrattori militanti dimostrano che si può anche non amarla. Rassegna dei detrattori ed estimatori. Gli Scapigliati considerarono l’opera emblematica del perbenismo borghese, ma anche Carducci e D’Annunzio non ne apprezzarono la teoria linguistica. Gramsci criticò l’approccio paternalistico e aristocratico nei confronti degli ultimi, dando vita ad un filone di detrattori di stampo marxista arrivato fino a Alberto Asor Rosa e Alberto Moravia. La cosa divertente è che, in un cortocircuito storico-letterario, neanche la Chiesa fu tenera nei confronti di Manzoni. Solo che non si limitò a criticare una sola opera. L’Osservatore Cattolico del cerbero don Davide Albertario definì Manzoni «idolo dei cretini ubriachi», mentre i “Pretoriani di via Ripetta” sulle colonne della Civiltà Cattolica commentarono in tono sprezzante la sua morte. Univa tutti i cattolici reazionari la denuncia più o meno esplicita delle colpe di Manzoni: gli ideali liberisti, il passato giansenista e – soprattutto – l’aver appoggiato l’Unità d’Italia (per approfondire si può consultare l’interessante articolo di Antonio Spadaro). Insomma, Manzoni e la sua opera stavano antipatici a un sacco di gente.

Naturalmente i Promessi Sposi ebbero da subito anche importanti estimatori: i veristi Verga, De Sanctis e Capuana, come Giovanni Pascoli, lo considerarono una pagina nuova della letteratura italiana. Molti apprezzamenti arrivarono dall’estero, dove la Questione Romana era vissuta da spettatori. Goethe ricevette una copia con dedica della Ventisettana e rispose con parole di profonda ammirazione (pur criticando le lunghe dissertazioni storiche presenti nell’opera). Giudizi positivi arrivarono anche dal mondo anglosassone, da Mary Shelley a Charles Dickens, fino ad Edgar Allan Poe, che apprezzò particolarmente il brano della morte di Cecilia durante la peste (ma guarda un po’). Le avanguardie del novecento criticarono aspramente l’opera, che tuttavia trovò uno strenuo difensore in Carlo Emilio Gadda, così devoto ai Promessi Sposi da chiedere che gli venissero letti ad alta voce una volta giunto in punto di morte. Molto più recente l’apprezzamento di Daniel Pennac sulla forza della lingua Manzoniana:

Rileggere Manzoni (…) è un momento di pura liberazione: quanto osa, l’autore dei Promessi sposi, quanto lontano si spinge, quanto movimento, quanta forza, quanta varietà…

E quello di papa Francesco:

Ho letto i Promessi Sposi tre volte e l’ho ancora adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quando ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio del romanzo.

IL GRANDE ROMANZO POPOLARE – Probabilmente uno dei peccati originali commessi verso il capolavoro manzoniano è stato quello di affibbiargli l’etichetta di “grande romanzo popolare“. Una locuzione che nella mente di un liceale suona estremamente mainstream, una roba a metà tra una telenovela sudamericana e uno sceneggiato rai con Beppe Fiorello e Cristiana Capotondi. In questo modo si è finito per lasciare sullo sfondo la quantità di significati, valori e tematiche che Manzoni ha voluto infondere nella storia, e che rappresentano il vero motivo per cui l’opera sa rivolgersi ad una platea estremamente vasta ed eterogenea. Se è vero che I Promessi Sposi sanno parlare a tutti, dalla casalinga degli anni ’60 all’ingegnere dei giorni nostri, è altrettanto vero che il meccanismo funziona per chi riesce a individuare la chiave di lettura più vicina alla propria sensibilità o al proprio interesse. E percepirsi così un po’ più individuo e un po’ meno popolo di fronte a questo monumento della letteratura.

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