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LIBRI MALEDETTI: ESPERIENZE PASTORALI DI DON MILANI

Si può definire maledetto un libro scritto da un sacerdote? Beh, diciamo che in questo caso molti suoi colleghi probabilmente lo definirono anche peggio di così…

IL LIBRODon Lorenzo Milani era uno che non conosceva mezze misure. Lo aveva già dimostrato a vent’anni, decidendo di abbracciare la religione cristiana e diventare sacerdote in un colpo solo. Per questo è probabile che chiunque lo conoscesse bene non abbia provato troppo stupore nel leggere quel primo testo a sua firma pubblicato nel 1958 sotto il titolo di Esperienze Pastorali. Un’opera destinata ad innescare un dibattito che ha accompagnato la Chiesa di Roma per ben sette pontificati. Il titolo è didascalico e un tantino più innocuo di quanto effettivamente non sia il contenuto. È vero: attraverso le sue cinquecento pagine, Don Lorenzo racconta la sua prima esperienza sacerdotale. Ma non in forma di semplice diario. Al centro della sua attenzione sono i milleduecento parrocchiani e il loro disarmante approccio alla fede e alla religione, ridotta a qualcosa di più vicino al folclore e alla superstizione che non alla spiritualità e all’introspezione. L’autore intende suggerire che il tema non sia affare solo della provincia fiorentina, bensì diffuso nel vasto e variegato mondo cattolico. Complice una Chiesa incapace di abbracciare la propria responsabilità sociale. L’idea di don Milani è infatti che la responsabilità di questo stato di cose sia da ricondurre principalmente ad un’interpretazione del servizio sacerdotale ormai superata. A parroci che, abbandonata una funzione educativa o maieutica, sono ridotti a meri celebranti di riti esteriori. Va anche ricordato che don Lorenzo denuncia il clima di una chiesa preconciliare, in cui il prete celebra ancora in latino e l’altare stesso lo porta a dare le spalle all’assemblea dei fedeli.

LA PUBBLICAZIONE – Grazie all’ottima ricostruzione di Mario Lancisi (Il libro proibito, Mauro Pagliai Editore, 2018), siamo in grado di conoscere diversi retroscena relativi alla pubblicazione di Esperienze Pastorali. Due premesse sono necessarie. La prima è che don Lorenzo Milani non scrive per vanità o per soddisfazione personale. Avverte il bisogno che il suo libro raggiunga la più vasta platea di lettori possibile, che abbia la possibilità di deflagrare nell’opinione pubblica. Lo stesso modo in cui riesce a far pubblicare il suo primo libro ne è una testimonianza evidente. La seconda cosa da sapere è che un sacerdote negli anni ’50 è sottoposto al rigido controllo della Santa Sede: se vuole pubblicare un libro deve ottenere il nulla osta del Sant’Uffizio, ovvero della congregazione che dalla fine del ‘500 aveva preso il posto della Santa Inquisizione nella difesa della Chiesa di Roma. In altre parole, il gruppo di cardinali a cui spettava decidere – tra molte altre cose – se i cattolici possono leggere un libro. Ecco: di fronte al Sant’Uffizio la storia assume una trama stile Ocean’s eleven.
La prima parte del piano di don Lorenzo prevede l’ottenimento di un endorsement da parte di una personalità ecclesiastica di spicco che sia disposta a compilare la prefazione. Un cavallo di Troia, insomma. Padre David Maria Turoldo propone il libro all’arcivescovo di Milano Montini, futuro papa Paolo VI, che però declina per prudenza. Accetta l’incarico invece l’arcivescovo di Camerino, monsignor D’Avack, raggiunto tramite l’intercessione del “Sindaco Santo” di Firenze, La Pira. Ottenuta la prefazione, il piano passa alle fasi successive: la revisione critica e l’ottenimento dell’imprimatur vero e proprio. La revisione non si dimostra un grosso ostacolo: il testo viene affidato direttamente dall’autore ad un uomo di fiducia, padre Santilli, anziché ad un presbitero designato dalla Santa Sede.
L’atto conclusivo è quello dell’imprimatur, dove senza girarci intorno si consuma un vero raggiro. Don Raffaele Bensi, confessore e amico di don Milani, aspetta che lo staff del cardinale Elia Dalla Costa sia in ferie e presenta il libro direttamente al porporato camuffando il nome dell’opera (a quanto pare Note di San Donato a Calenzano suonava ancora più innocuo) e, soprattutto, omettendo l’autore. Il cardinale, un ottantacinquenne porporato sulla soglia del pensionamento, si limita a constatare la presenza della firma dell’arcivescovo di Camerino sulla prefazione e dispone l’imprimatur. La Libreria Editrice Fiorentina dei fratelli Zani può dare l’opera alle stampe. È il 25 marzo 1958.

LE REAZIONI – Quando il libro arriva sugli scaffali succede il finimondo. Nel mondo cattolico, di fatto già spaccato tra osservanti e progressisti, divampa un incendio. Tra i primi sostenitori del libro ci sono diversi araldi della chiesa che verrà: don Giulio Facibeni, padre Turoldo, don Primo Mazzolari. Ma anche Avvenire accoglie favorevolmente Esperienze Pastorali. Il versante conservatore è invece ovviamente e fortemente critico nei confronti dell’opera e delle modalità in cui è arrivata al pubblico. La Chiesa fiorentina preme sulla Segreteria di Stato vaticana per una presa di posizione avversa al libro, che arriva mezzo stampa sulle colonne dell’autorevole rivista Civiltà Cattolica. Perché evidentemente quando il gioco si fa duro, i gesuiti iniziano a giocare. Scrive don Angelo Perego:

«Il libro non è sul giusto binario, non corre nel senso dell’edificazione, non chiarisce le idee, non convalida le buone volontà, ma al contrario, confonde le menti, esaspera gli spiriti, scalfisce la fiducia nella Chiesa».

Don Carlo Maria Martini, giovane sacerdote (gesuita pure lui) di appena quattro anni più giovane di don Milani, ammette di apprezzare il libro ma con riserva. Non tanto verso il suo contenuto, sostiene, quanto verso ciò che il libro non dice (o non può ancora dire): la visione di una chiesa locale intesa come perno di comunità e il ruolo che in essa dovrebbe avere la donna. Lo spiegherà egli stesso ma solo nel 1983, quando già cardinale interverrà ad un convegno incentrato proprio su Esperienze Pastorali.
Tra gli interventi più incisivi sul versante laico si registra quello di Indro Montanelli sul Corsera. Il giornalista critica il libro con un articolo dall’emblematico titolo L’apocalisse di don Milani, scegliendo però di non infierire troppo. Anzi. In una lettera inviata direttamente al Priore di Barbiana, anni dopo, gli confiderà di aver fatto il possibile perché il suo intervento non finisse per essere identificato come una stroncatura o una condanna. Di aver cercato, insomma, di tutelarlo in qualche modo, pur ammettendo di non esserci riuscito quanto avrebbe intimamente voluto. Nella sua contraddittorietà, forse è proprio la posizione del giornalista ad incarnare un diffuso sentimento di disorientamento che molti maturano verso un testo che appare come una sassata lanciata contro il vetro dello status quo.

LA CONDANNA – Che il cardinale Angelo Roncalli non conoscesse il caso don Milani già prima di diventare papa Giovanni XXIII è oggettivamente difficile. In ogni caso il 18 dicembre 1858, giusto un paio di mesi dopo la sua elezione al soglio di Pietro, sarà lui a firmare la sentenza nei confronti di Esperienze Pastorali. Dopo tre mesi dalla sua apertura, l’inchiesta ecclesiastica sul libro si conclude con una condanna: il libro di don Lorenzo Milani deve essere ritirato dal mercato perché inopportuno. Per una curiosa coincidenza della storia, è proprio il papa del Concilio Vaticano II ad impedire la diffusione di un testo che anticipa diversi contenuti del suo pontificato. Dai carteggi studiati dopo la morte di don Lorenzo, emerge in realtà una certa simpatia di papa Roncalli verso il Priore. Sembrerebbe infatti che, quasi per contrappasso, la decisione presa dal neo-eletto pontefice sia dettata dalla lettura dell’articolo su Civiltà Cattolica anziché del libro stesso. Secondo altre interpretazioni, francamente più plausibili, il ritiro dal mercato fu invece un modo per proteggere l’opera, evitando una ben più grave condanna dottrinale che l’avrebbe relegata all’indice dei libri proibiti. Un modo per far contenti più o meno tutti, insomma. Magari una decisione un poco cerchiobottista, ma di sicuro efficace, come vedremo poi.

LA RIABILITAZIONE – Il fatto che il veto sulla diffusione di Esperienze Pastorali sia stato revocato solo da papa Francesco nel 2014, ben 56 anni dopo la sua pubblicazione, fa un certo effetto. Non tanto per il dato “anagrafico” in sé, quanto per l’evidente collocazione storica dell’opera. Già dopo il 1965, anno di chiusura del Concilio Vaticano II, l’autore stesso aveva scritto:

«Il mio libro fece molto rumore quando uscì nel ’58. Poi è stato sorpassato a sinistra da un Papa! Quale umiliazione per un “profeta”! Lo considero perciò superatissimo».

Ciò nonostante i conti non sono chiusi. Lo testimonia il citato intervento del cardinal Martini, datato 1983. Pur presentando un’analisi lucidissima sui meriti e sui limiti di quel manifesto ideologico, il Porporato si guarda bene dal prendere una posizione circa la condanna ancora vigente. Allo stesso tempo fa sorridere sapere che la notizia della revoca del divieto di distribuzione dell’opera sia stata accolta con una certa sufficienza dalla LEF. I responsabili della casa editrice hanno infatti reagito ammettendo di non aver mai smesso di stamparlo, né di distribuirlo, quel libro proibito. E dimostrando anche che in fondo, probabilmente, neanche i più ferventi curiali fiorentini avevano poi così a cuore la damnatio memoriae nei confronti di un libro così caustico e autentico da avere davvero la possibilità di dimostrarsi profetico.

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