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LIBRI MALEDETTI: FESTE RELIGIOSE IN SICILIA

Lo so che “maledetti” e “feste religiose” nello stesso titolo sembra un po’ contraddittorio. Ma credetemi: contraddizione è la parola chiave di questo libro, realizzato da due pilastri della cultura italiana.

Letta nella sua interezza, la vicenda – umana prima ancora che editoriale e artistica – che ha segnato il destino del libro Feste religiose in Sicilia ha qualcosa di favolistico. Come se la realizzazione stessa dell’opera fosse un atto narrativo coerente con quello schema dogmatico che Vladimir Propp pretendeva alla base di ogni storia: abbiamo un eroe, un antagonista, un aiutante, un donatore… praticamente manca solo una principessa da salvare.

L’eroe

Giovane, irruento, ribelle. Il protagonista della storia si chiama Ferdinando Scianna, viene da Bagheria, ha una ventina d’anni e vuole fare il fotografo, nonostante la contrarietà del padre che lo vorrebbe avvocato o ingegnere o comunque avviato ad una carriera da persona rispettabile. Da quando ha diciassette anni scatta fotografie in giro per la sua Sicilia, immortalando i volti e le scene che caratterizzano i riti religiosi dell’isola. Attraverso il suo potente bianconero, Scianna fissa il pathos della gente semplice che anima processioni, interpreta episodi biblici e lamenta le proprie preghiere. Dal punto di vista fotografico, si tratta di immagini perfette. Il biglietto da visita di un ragazzo dotato di uno straordinario talento.

L’aiutante

Dopo appena un paio di anni dalla pubblicazione de Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia è uno scrittore affermato che trascorre le sue estati in una casetta senza luce né acqua alle porte di Racalmuto. È in quel luogo che posa su carta le idee. Sa chi è il giovane Ferdinando perché si è imbattuto nella sua prima mostra, a Bagheria, e ne è rimasto impressionato. Prima di andare via gli ha lasciato un “biglietto gentile” per complimentarsi e Ferdinando, forte di quell’attestato di stima, nell’agosto del 1963 va a trovarlo. Tra i due nasce un’amicizia inossidabile che durerà quasi trent’anni. Li separano venti anni di età, ovvero il motivo per cui il ragazzo parla di Sciascia come di un punto di riferimento, vero e proprio mentore del suo percorso artistico.

Il donatore

Negli anni ’60 Bari è una delle capitali culturali ed editoriali d’Italia. Non solo per la presenza di un Vito Laterza in piena maturità industriale, ma anche per la frizzante attività di altri piccoli editori coraggiosi e innovativi. Tra cui Diego De Donato, che nel 1947 – neanche ventenne – aveva rilevato la casa editrice Leonardo Da Vinci e l’aveva spinta sui versanti più effervescenti della cultura anni ‘60. Nel 1964 Scianna accompagna Leonardo Sciascia a Bari per la presentazione del suo ultimo libro Morte dell’inquisitore. Lo scrittore coglie l’occasione per sottoporre all’editore Vito Laterza il lavoro del giovane amico, senza ottenere successo. Laterza non è interessato. La svolta arriva in quegli stessi giorni baresi, durante una cena tra intellettuali: i due siciliani incontrano Diego De Donato, che fiuta subito l’opportunità. Sarà lui a pubblicare le fotografie a patto che Sciascia ne curi l’introduzione. Il libro Feste religiose in Sicilia sarà così pubblicato nel gennaio 1965.

L’oggetto di valore

Feste religiose in Sicilia lo è in tutti i sensi. 222 pagine in cui trovano spazio oltre 100 incredibili immagini e un’introduzione che è di fatto un vero e proprio saggio antropologico sulla religiosità dei siciliani. Il rapporto tra le immagini e il testo è piuttosto autonomo: le foto sembrano fornire a Sciascia la scusa per affrontare un tema spinoso e intrigante, mentre Scianna affermerà in seguito quanto l’incontro con lo scrittore abbia avuto una certa influenza nella loro realizzazione. Sebbene molte delle fotografie erano state scattate prima del loro incontro, il punto di vista dello scrittore di Recalmuto sembra dunque essere stato determinante nel confezionamento – anche visivo – del progetto. Alla sua uscita il libro produce conseguenze notevoli. Le foto sono apprezzate in tutto il mondo, lanciando la carriera di Scianna che da lì a poco sarebbe diventato il primo fotografo italiano arruolato nell’agenzia Magnum. Dal canto suo, il saggio di Sciascia innesca un acceso e profondo dibattito sull’approccio dei siciliani alla religiosità e sulle contraddizioni che ne derivano.

L’antagonista

Il 2 aprile 1965 l’Osservatore Romano pubblica un articolo nel quale lo scrittore e filosofo siciliano Fortunato Pasqualino critica aspramente il modo con cui Sciascia ha tratteggiato la religiosità dei suoi conterranei. Oggetto principale della critica è una certa semplificazione, una riduzione del “tipo siciliano” caratterizzata da un approccio spirituale di fatto privo della dimensione trascendente. Per Sciascia, semplificando, i siciliani credono più nelle statue dei santi che nei santi, più nei riti che nel messaggio evangelico. E anche quando viene meno un certo materialismo, la loro religiosità non fa altro che esprimere una forma di empatia nei confronti del versante più umano e terrestre delle vicende bibliche. Per Fortunato Pasqualino stabilire un’identità così uniforme non è solo qualunquista, ma anche crudele: da siciliano cattolico non può sopportare che i suoi conterranei siano esautorati da qualsiasi possibilità di salvezza. Come si può capire, in realtà Pasqualino non è un antagonista di Scianna, né delle immagini che compongono il libro. E se di antagonista si tratta, la parola non va intesa in termini negativi: è lui effettivamente ad accendere il dibattito sul libro, ma ridurlo ad una mera j’accuse cattolica o ad una critica personale sarebbe un errore e un’imperdonabile semplificazione. Lo conferma implicitamente nel 2015 il teologo Massimo Naro su Avvenire, definendo il contributo di Sciascia come un’importantissima provocazione alla teologia e alla pastorale. Niente da fare: vi è molto di più tra cielo e terra di quanto ne contempli la nostra fotografia. Il dibattito a cui si è appena accennato, ad ogni modo, è troppo complesso e sfaccettato per essere risolto in un rapporto dialettico tra buoni e cattivi, e pure in così poche righe. A chi volesse approfondire suggerisco però questo interessante contributo di Giovanni Gugg.

Epilogo

Ho avuto la fortuna di immergermi dal vivo nelle foto di Feste religiose in Sicilia esposte recentemente al Palazzo Ducale di Lucca in occasione dell’ultimo Photolux. Scorrendole è facile capire il motivo per cui la rivista americana Popular Photography lo definì già nel 1965 “The most impressive photobook published this year”. Ma è altrettanto facile farsi cogliere da un certo rammarico: Scianna afferma che il lavoro ha visto in sessant’anni pochissime esposizioni, mentre il libro è da anni nell’olimpo degli introvabili. Persino il saggio di Sciascia, che pure venne ripubblicato da Adelphi in La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia, non è facile da reperire. Mai ristampato dal 1965, le copie di Feste religiose in Sicilia in circolazione raggiungono quotazioni piuttosto ragguardevoli (difficile individuarne una a meno di 400 euro). Insomma, un epilogo editoriale davvero incomprensibile per un’opera fondamentale sotto così tanti punti di vista. In attesa di mettere da parte quei 400 euro, non ci resta che auspicare una ristampa (magari critica) che sappia tramandare l’opera, il dibattito e l’immagine dell’Italia che era, sia dal punto di vista folkloristico che intellettuale.

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