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EDITORIA

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LIBRI MALEDETTI:
LE FICOZZE DI FORMÍGGINI

Un libro in tre versioni che descrive la parabola professionale e umana di un intellettuale italiano dal formidabile ingegno: Angelo Fortunato Formiggíni.

Tra sarcasmo e amarezza, ironia e disperazione, La Ficozza filosofica del fascismo non è soltanto un libro maledetto, ma anche il modo più efficace per comprendere il concentrato di sfaccettature e contraddizioni note come Angelo Fortunato Formíggini. Questo è l’approccio adottato da Giulia Tanzillo per comporre il suo interessante saggio su Diacritica, di cui raccomando fin da ora la lettura a chi volesse approfondire l’argomento. È però il caso di procedere con ordine e fornire alcune coordinate senza le quali è difficile comprendere la genesi di questo libro e il motivo della sua particolarità.

Angelo Fortunato Formíggini, detto Furmasen (formaggino), nasce nel 1878 a Modena, ultimo figlio di una ricca famiglia ebrea, e dimostra precocemente di credere più nell’umorismo che nell’ortodossia religiosa. Da ragazzo viene espulso da scuola per aver diffuso un poemetto satirico che metteva alla berlina insegnanti e compagni. Poi si laurea in Legge ma decide di prendere una seconda laurea in filosofia morale, con una tesi dal titolo Filosofia del ridere. Nello stesso solco si situa la sua attività editoriale.  Nel 1912, quattro anni dopo aver aperto la sua impresa editoriale, Formíggini dà vita ad una collana che diventa un marchio di fabbrica (“er mejo fico del suo bigonzo”, come la definì lui stesso): I Classici del ridere. Complessivamente 105 volumi di stampo umoristico pubblicati a cavallo della Grande Guerra, con la sola pausa nel 1915 causata dalla sua partenza volontaria per il fronte (da cui fu presto congedato). Se non si fosse capito: al Furmasen piace ridere e far ridere, tanto da farne un principio professionale. Dopo la Guerra è lui stesso a descrivere il carattere umoristico delle sue pubblicazioni:

L’Europa nuova che dovrà sorgere dalle rovine della vecchia Europa dovrà essere civile e fraterna; non vi potrà essere fraternità se vi sarà oppressione di un popolo sull’altro, ma nemmeno se non ci sarà comunione di cultura fra i popoli. E converrà soprattutto che i popoli si conoscano nei loro aspetti più simpatici e umani, cioè appunto nella loro peculiare gaiezza e nelle particolari colorazioni che presso ciascuno di essi assume l’amore alla vita: ridere è amore di vita.

Sarebbe tuttavia riduttivo parlare di Formíggini come di uno che pubblicava libri da ridere. L’editore è un convinto promotore della cultura e della cultura italiana in particolare. Pubblica libri di ogni disciplina e nel 1921 riunisce le sue passioni fondando l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana. Se l’accostamento di parole come propaganda, patria e 1921 vi sembra materiale esplosivo, ci avete visto giusto. Nel 1923 Giovanni Gentile, uno dei principali ideologi del fascismo, capisce il potenziale delle strategie adottate da Formíggini per la propaganda culturale e di fatto si appropria del suo principale strumento: assume la presidenza dell’Istituto, lo trasforma in ente morale e ne cambia il nome in Fondazione Leonardo per la Cultura Italiana. L’editore in un primo momento si mostra ben disposto al compromesso: animato da un risorgimentale spirito patriottico, ha accolto con favore l’ascesa del fascismo e ripone piena fiducia nella figura di Mussolini. Non ci metterà molto però ad entrare in contrasto con le ingerenze imposte dai gerarchi nei confronti della sua gestione. In breve tempo viene esautorato con l’accusa di malagestione amministrativa: «il fascismo è una gran bella cosa visto dall’alto; ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso», commentò amaramente l’editore. La sua idea di dar vita ad una grande enciclopedia italica verrà assegnata da Gentile a Giovanni Treccani che la trasformerà in quell’Enciclopedia italiana di scienze, lettere e arti che tutti conosciamo.

Pubblicata nel 1923, la prima Ficozza si colloca proprio in tale contesto. Formíggini, costretto alle dimissioni dal Consiglio della Fondazione che lui stesso aveva creato, sceglie di rispondere a Gentile nel modo a lui più congeniale: usando l’ironia. Nelle poco diplomatiche pagine trecentottanta pagine che compongono La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo, l’autore/editore vendica il torto subito e a prova a ristabilire il proprio onore. Il testo rappresenta anche la risposta a chi si è domandato perché non si sia difeso adeguatamente nel momento in cui la sua gestione veniva messa sotto accusa. Le motivazioni sono quelle prevedibili: la creatività di Formíggini non poteva essere ingabbiata dal controllo di Gentile, dall’arroganza di un fascismo che inizia a mostrare i muscoli e la propria intransigenza. Alla prima Ficozza ne seguirà un’altra, nel 1924, che proseguirà il tono e i temi della precedente: il fascismo in cui aveva creduto si è rivelato una amara delusione. Eppure, nonostante tutto, la figura del Duce sembra preservata da questa consapevolezza.

Il registro cambia solo nel 1938, quando verrà pubblicata la terza edizione della Ficozza. Il testo, molto più esile, ha perso stavolta la sua vena umoristica ed è lo specchio di un’anima inquieta e sconfortata, l’anima di una persona che – all’indomani della proclamazione delle leggi razziali – è ormai totalmente deluso dal fascismo e da Mussolini. Ed è vittima dei propri tormenti interiori. Formíggini, intellettuale sessantenne che ha sempre coltivato in cuor suo l’amor di Patria, scopre che il suo essere ebreo non gli consente più di essere italiano. Non basta il fatto di essere ebreo solo per eredità familiare e di aver sposato una donna cristiana: adesso è considerato dalla parte sbagliata della storia. Lui non riesce ad accettare né a comprendere l’odio di razza, e il tono con cui scrive questo libro sembra l’epilogo di una parabola umana e intellettuale drammaticamente originale. Così sarà.

La notte del 29 novembre 1938 Angelo Fortunato Formíggini si lancia dalla Ghirlandina, la torre del Duomo di Modena, gridando «Italia! Italia! Italia!». Il suo volo si conclude con lo schianto in un punto che lui stesso, in un ultimo anelito di macabro umorismo, aveva chiesto di battezzare in suo ricordo il tvajol ed Furmajin, il tovagliolo del Formaggino. In tasca vengono rinvenute una lettera per il Re e una per Mussolini, e le tasche piene di soldi perché i fascisti non abbiano a dire che si sia trattato di un gesto dettato dalla disperazione per motivi economici. Non servirà: Starace commenterà l’episodio con misero cinismo, affermando: «È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola».

Le Ficozze restano una testimonianza importantissima per leggere il Ventennio da una prospettiva piuttosto diversa da quelle abituali, che intreccia numerosi temi. Soprattutto, i testi di Formíggini sono lì a ricordarci la figura di un editore per decenni condannato all’oblio, di cui solo da qualche anno si sta riscoprendo il valore. Antonio Fortunato Formíggini intellettuale originale, editore creativo, uomo contraddittorio e orgoglioso amante della libertà. Un italiano, insomma.

 

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