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EDITORIA

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@tessmaylo

Tip: do not read this book in public, you WILL cry (book: They Both Die At The End) ##booktok ##theybothdieattheend ##books ##reading

♬ American Pie - Don Mclean

TIKTOK SCANDISCE L’ORA DI LETTURA DEI GIOVANISSIMI

Se c’è uno strumento potente in grado di promuovere la lettura tra gli adolescenti, quello è TikTok. E noi abbiamo provato a capire il perché.

Sull’onda della curiosità prodotta da una notizia apparsa nei giorni scorsi sul web che annunciava una recente iniziativa in favore dell’editoria lanciata da TikTok, ho sconfitto le mie remore più profonde e ho installato il social network più amato dagli adolescenti di mezzo mondo (e più osteggiato dagli Stati Uniti d’America). Siccome non mi bastava leggere articoli su questo innovativo mezzo di promozione della lettura, mi sono ritrovato a scorrere decine e decine di video di pupette che, sotto l’egida dell’hashtag #BookTok, descrivono, recensiscono o promuovo le proprie letture. Da questa immersione nel social più discusso del decennio appena iniziato sono riemerso con alcune considerazioni gratuite che riporto per pura curiosità antropologica, tracciando alcuni confronti con Instagram per avere un termine di paragone più noto (almeno a quelli della mia generazione).

La prima constatazione riguarda la conferma che la lettura è roba da donne: su TikTok, come su Instagram, le book influencer sono quasi sempre femminucce. Gli uomini evidentemente non leggono e se leggono non lo fanno sapere, così da non compromettere la propria virilità. La seconda distinzione tra i social è anagrafica: le book influencer su Instagram sono tendenzialmente più adulte delle loro colleghe tokers e anche più raffinate. O costruite, forse è più appropriato: le book influencer del social di Menlo Park sono amazzoni glam della lettura per lo più impegnate a produrre immagini studiatissime e trés chic di sé stesse e dei libri che leggono. Libri che in realtà non sono più libri: astratti dal quotidiano a suon di geometrie perfette e filtri enfatizzanti, trascendono la propria natura per diventare ora complementi d’arredo, ora accessori moda. Quanto starebbe bene Stendhal sulla mia scrivania rossa e nera, insomma. Su Instagram il valore dei contenuti di un libro è riservato per lo più ai reel e ai live, frazioni del social in cui la parola si fa parlata, la pagina sfogliata e dove le ragazze possono descrivere per sommi capi (molto spesso per titoli) le proprie letture e i gadget distribuiti dalle case editrici (il mondo dovrà pur sapere che gli irresistibili zainetti di Einaudi e le trendissime pochette di Feltrinelli sono in distribuzione).

Le TikTokers producono invece una realtà molto più spontanea e – a un primo sguardo – incontaminata. Più che il video usano il montaggio, ma lo fanno con una naturalezza che farebbe piacere ad Ėjzenštejn. Le booktokers italiane sono quasi sempre ragazzine acqua e sapone che non ammiccano, non si truccano (troppo), non si atteggiano e – molto spesso – non si capiscono. Insomma: sono adolescenti che parlano ad altre adolescenti senza fingere di non essere adolescenti. E infatti scelgono e promuovono libri da adolescenti, quelli con le copertine satinate impreziosite da nobilitazioni glossy e metal che aiutano a fare del libro un oggetto desiderabile molto più di quanto non facciano le stesse trame fantasy o romantiche che contiene. Non ho trovato nessuna che promuovesse la lettura di Victor Hugo, né di Salinger o di Pavese, insomma (anche se i classiconi romantici alla Jane Austen fanno capolino di tanto in tanto), ma neanche di un libro esteticamente brutto.

Una delle cose più interessanti è che rispetto a Instagram, luogo dominato dalla fedeltà ad un influencer che distilla stili di vita parallelamente alle sue letture, su TikTok la promozione dei libri assume molto più marcatamente la forma della community. E infatti Stefania Massari su Wired ne parla come della declinazione contemporanea del club del libro: un ambiente per lo più orizzontale in cui gli utenti si raccontano le proprie esperienze di lettura attraverso la produzione di contenuti multimediali. Un clima fortemente peer-to-peer, insomma, che coagula i contenuti intorno a hashtag più o meno di successo. In questo scenario #BookTok è un esempio tipico ma non emblematico, o almeno non quanto il caso da cui ha preso avvio la stessa vocazione editoriale di TikTok.

USA, 2017. Adam Silvera pubblica un libro dal titolo auto-spoilerante They Both Die at the End (Entrambi muoiono alla fine) e ottiene un buon successo di pubblico. Quindi il titolo segue il suo naturale declino di popolarità fino a quando, nel 2020, deflagra su TikTok diventando un hashtag da 37 milioni di visualizzazioni. E il libro torna prepotentemente in cima alle classifiche. Stesso copione per The song of Achilles di Madeline Miller, We were liars di E. Lockhart e The seven husbands of Evelyn Hugo di Taylor Jenkins Reid. Tutti rientrati in vetta alle classifiche di vendita con le stesse modalità. A questo punto tutta la filiera si è svegliata: Barnes&Noble ha pensato di istituire nei suoi punti vendita uno scaffale dedicato esclusivamente ai libri diventati virali su TikTok, mentre le case editrici più intraprendenti come Penguin Random House hanno iniziato a collaborare con i creators di TikTok (che poi non è più bello quando i promotori di libri si chiamano creators anziché influencer?) per spingere i propri libri.

Naturalmente sebbene tutte le case editrici sognino di trasformare ogni proprio libro in un hashtag virale, pochissimi sono quelli che ci riescono. Per capire la formula alchemica che permette ad un libro di diventare un hashtag virale, bisogna spostare la questione sui contenuti prodotti dai lettori: come si esprime questa community di indigeni digitali? Beh, per quanto riguarda il fenomeno They Both Die at the End la risposta è facile: con le lacrime. Se cercate i video marchiati da #TheyBothDieintheend troverete una sconfinata platea di ragazzini anglofoni che piangono mentre leggono, sfogliano o maneggiano il citato libro, o che dichiarano quanto abbiano pianto nel leggerlo. Certo la storia aiuta: c’è dentro l’ineluttabilità della morte (un tema non proprio inedito), ha per protagonisti due ragazzini provenienti da storie di solitudine (niente, ancora non siamo fuori dal nichilismo contemporaneo) e un’amicizia pronta a sfociare in una storia d’amore LGBT impossibile (non perché socialmente non accettata ma perché la falce interrompe la favola). E giù lacrime, come fosse una sconfinata seduta di terapia di gruppo. Un’esposizione emotiva così spudorata da provocarmi un certo imbarazzo.

Oltre i numeri, il mercato, l’industria culturale, ci troviamo di fronte a milioni di ragazzini adolescenti che non solo si commuovono, ma attraverso l’espressione della propria fragilità cercano di sentirsi parte di una tribù globale accomunata dall’empatia originata dalla lettura di un libro. E non è importante il livello di sincerità delle lacrime: queste sono il segno, il dress code, la parola d’ordine per accedere a questa tribù fondata sull’espressione più plateale del proprio spleen. Se TikTok sta giocando un ruolo significativo (soprattutto negli States, in Italia siamo un po’ più indietro) nel sostenere l’editoria e nel promuovere la lettura nei confronti dei giovanissimi, bisogna tener presente che il libro non è un prodotto qualunque e gli adolescenti non sono un target qualunque. Non siamo di fronte a Chiara Ferragni che propina uova di pasqua o bottigliette d’acqua brandizzate. Il caso #Theybothdieattheend ci ricorda che può essere rischioso trattare i giovanissimi come adulti in miniatura dotati di potere d’acquisto, con buona pace di quella terribile categoria editorial-commerciale che risponde al nome di Young Adult. Se l’età della formazione è un magma instabile, TikTok ne è lo specchio fedele. Da maneggiare con cura.

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