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EDITORIA

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UN PONTE DI TESTI PER ATTRAVERSARE LA GIORNATA DELLA MEMORIA

Volevamo parlare della Giornata della Memoria senza dire cose troppo scontate… poi ci siamo resi conto che è impossibile, e allora ci siamo limitati a raccontare due testi che affrontano il tema della Shoah mettendo al centro il libro e la lettura.

Premessa: sì, lo sappiamo che la Giornata della Memoria non riguarda soltanto l’Olocausto degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Però è vero che, divisa tra monito volto ad esorcizzare la ripetitività della storia e risarcimento storico per quanto subito dal popolo ebraico, la produzione artistica sulla Shoah rappresenta uno dei fenomeni che maggiormente hanno caratterizzato l’industria culturale della seconda metà del novecento (e oltre). Questa banale constatazione è la ragione per cui non intendiamo accostarci al tema con superficialità, nella convinzione che sull’argomento sia già stato detto praticamente tutto, o almeno tutto quanto possa essere significativo. Nei giorni appena passati è però capitata una pubblicazione di quelle che accendono sinapsi. E da lì abbiamo pensato interessante proporre un ponte tra opere che affrontano la Shoah mettendo al centro il ruolo del libro e della lettura. Parliamo di un paio di opere che, partendo da un testo letterario, sono state declinate attraverso linguaggi diversi per rivolgersi a diversi pubblici, e anche per questo possono costituire un viaggio meno convenzionale nel tema.

Il primo libro è un volume a fumetti (nel perfetto spirito dei tempi) che, pur senza possedere – ma neanche ambire ad avere – il carattere innovativo e la potenza simbolica del Maus di Art Spiegelman, si rivolge agli adolescenti tratteggiando la storia di coraggio della sua quattordicenne protagonista. L’opera si intitola La bibliotecaria di Auschwitz (Il Castoro, 2023) ed è l’adattamento a fumetti dell’omonimo best seller spagnolo di Antonio Iturbe. La storia è quella di Edita Polachova, detta Dita, ebrea praghese deportata a tredici anni con la famiglia nel campo di concentramento di Terezin, poi di Auschwitz e infine di Bergen-Belsen. Il tratto che caratterizza l’esperienza di Dita riguarda il periodo trascorso ad Auschwitz, durante il quale si assume il compito di proteggere e divulgare una decina di libri clandestinamente finiti tra le sue mani. La storia intreccia l’orrore in cui è immersa la ragazza con la consapevolezza che Dita sviluppa nei confronti del libro come veicolo di speranza per sé e per gli altri, e la graphic novel – coerentemente con il libro da cui è tratta – si concentra proprio su questo impasto di ardore giovanile e ruolo salvifico della lettura.

Il testo a cui approda questo ponte letterario ha ancora al centro il libro e la lettura, ma questa volta visti dall’altro lato della barricata. Der Vorleser (A voce alta – The Reader) è il titolo del romanzo di ispirazione autobiografica scritto da Bernhard Schlink nel 1995 e più noto per la sua versione cinematografica, realizzata nel 2008 da Stephen Daldry (già regista di Billy Elliott). Anche in questo caso il lettore è un adolescente, il quindicenne Michael, che nella Germania Ovest dei fine anni ’50 intraprende una relazione sentimentale con Hanna, donna misteriosa di vent’anni più grande di lui. L’iniziazione sessuale del ragazzo è costantemente correlata alle opere letterarie: Hanna vuole che lui le legga tutto quello che sta studiando a scuola e così i loro incontri passano attraverso le parole di Omero, Tolstoj, Cicerone, Cechov, Schiller e tanti altri. Hanna scompare improvvisamente per poi riapparire pochi anni dopo come imputata in un processo contro le SS. Senza entrare nei dettagli, la storia a questo punto si incentra su una sorta di dilemma morale: Hanna potrebbe essere assolta confessando il suo analfabetismo, ragione alla base delle continue richieste di letture ad alta voce. Sceglierà invece di anteporre la propria dignità personale, assumendosi le responsabilità di decisioni non completamente sue (e che comunque aveva assecondato).

C’è una suggestiva complementarietà tra le due storie e le loro varianti. I protagonisti, di generi diversi ma con la medesima età, si ritrovano coinvolti in due versanti speculari della Shoah. Lei deve sopravvivere all’olocausto, lui si confronta con una società che fa i conti con le proprie responsabilità nei confronti dello stesso. Allo stesso modo i due testi vengono declinati in altrettanti linguaggi che trascendono la parola scritta perché l’immagine renda tutto più vivido, immediato. Quasi un paradosso per storie che hanno i libri alla base delle rispettive trame. La lettura rappresenta il ponte che unisce queste due opere, situate sulle due sponde opposte della storia. È la lettura a sollevare i prigionieri dal giogo del campo di sterminio. È l’assenza di lettura – l’analfabetismo – a condannare all’ergastolo (ma anche alla colpa) la stessa carceriera.
I livelli di lettura non si esauriscono qui: nel campo di sterminio comprendiamo l’essenzialità del bene, veicolato dalle piccole cose a cui l’uomo si aggrappa per non cadere nell’oblio della ragione. Dall’altra assistiamo alla banalità del male, all’ordinaria follia che può contagiare chiunque quando viene fatto deragliare il senso di responsabilità collettiva.
Le due storie ci interrogano sul ruolo della cultura come antidoto alla follia della guerra, ponendoci a cospetto di un tema che travalica qualsiasi contingenza storica del novecento per adattarsi all’uomo di ogni tempo. Compresi noi, che stiamo per celebrare la Giornata della Memoria mentre il sangue di tante persone continua a scorrere in tutto il mondo.

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