Seleziona una pagina

EDITORIA

EDITORIA

CULTURAL FICTION

Si è presentato in punta di piedi all’ultima notte degli Oscar per portarsi via una statuetta con una trama che è una intensa satira sull’industria editoriale. Vi presentiamo American Fiction, insieme a qualche spunto di riflessione…

American Fiction è un piccolo ciclone culturale che si è abbattuto sulle coste patinate della California nei giorni degli Oscar. Nell’edizione 2024, mentre imperversava l’improbabile duello tra Barbie e Oppenheimer e quattro statuette sdoganavano la visionarietà di Yorgos Lanthimos, si insinuava tra gli interstizi della celebrità un film uscito complessivamente in 7 sale statunitensi e conosciuto praticamente solo agli addetti ai lavori per aver vinto il Toronto Film Festival. Ne parliamo in questo nostro posticino dedicato ai libri perché il film di Cord Jefferson è integralmente immerso nel settore editoriale, è un’opera che fotografa lo spirito dei tempi indicando con sobrio vigore l’elefante nella stanza.

Andiamo con ordine. American Fiction è la storia di Monk Ellison, afroamericano di buona famiglia, insegnante e autore di libri che nessuna casa editrice vuole più pubblicare perché considerati troppo impegnativi per avere un successo commerciale. No, non l’ho detta bene: le case editrici non lo vogliono perché il mercato si aspetta qualcos’altro da un autore afroamericano. Si aspetta lo slang black, si aspetta le gang, i ragazzi difficili, la violenza, la strada. In preda alla frustrazione, Monk decide di lanciarsi in un’operazione al confine tra la provocazione e la sfida. Scrive in una notte una storia che condensa ogni possibile stereotipo black, lo firma sotto pseudonimo e lo inviare al suo agente. Il risultato è che Fuck raccoglie l’entusiasmo degli editor, delle case editrici, dei premi letterari, del pubblico e persino del cinema.

Il film non ha solo il merito di trattare una verità difficile da inquadrare, ma anche di farlo con una leggerezza e un’ironia tali da renderlo accessibile a chiunque. O meglio: che rendono accessibile a chiunque temi come il rapporto tra industria culturale e atto creativo, la produzione del modo in cui un gruppo sociale viene rappresentato (ci riconosciamo davvero nell’immagine che i media offrono di noi o ci limitiamo ad assecondarla?), la formazione di un immaginario collettivo di cui non si capisce bene se siamo soggetto o oggetto.

Portandosi a casa la statuetta come Miglior sceneggiatura non originale, American Fiction non è solo approdato all’attenzione del grande pubblico, ma ha anche implicitamente riconosciuto i meriti dell’autore del libro da cui è tratto: Erasure di Percival Everett, pubblicato nel 2001 negli USA e disponibile da quest’anno in Italia grazie a La Nave di Teseo, che ne ha proposto la versione italiana proprio in seguito al successo ottenuto dal film.

Sara Concato nel suo articolo su Ghigliottina racconta che anche Anna Maria Ortese, nel suo tardivo Corpo Celeste (Adelphi, 1997), aveva denunciato l’omologazione dell’editoria di fronte alle leggi del mercato. Si legge quello che l’editore vuole pubblicare, e l’editore dà alle stampe quello che – secondo la sua opinione – il pubblico vuole leggere. Dai tempi della scrittrice romana le cose sono cambiate, e forse in peggio: il fiuto dell’editore è stato sostituito dalle indagini di mercato e le vendite dei libri sono condizionate da book-toker o influencer che smerciano potentissimi consigli di lettura tra la promozione di un outfit à la page e la leva empatica veicolata dalla sfrontata esposizione di stati emotivi che sembrano pensati dai redattori di Cioè (qualcuno ricorderà).

In uno scenario che sembra privo di percorsi diversi da un mainstream mascherato da personalizzazione, ci siamo imbattuti in un interessante articolo di Bruno Ballardini su Il Fatto Quotidiano, in cui l’autore sostiene di aver individuato una via d’uscita dall’ineluttabile apporto di un marketing editoriale che considera peraltro lontano dal vero marketing. La via d’uscita individuata da Ballardini si chiama Giulio Mozzi, editor di Laurana Editore e ideatore della Bottega di Narrazione, una scuola di scrittura meno patinata di altre ma estremamente efficace nel far emergere e portare tra gli scaffali ottimi autori ignorati dal mercato.

Anche se Ballardini stesso fa presente come il “sistema-Mozzi” sia difficilmente replicabile al di fuori del suo ideatore, un approccio onesto alla formazione e lo scouting “all’antica” possono rappresentare un antidoto suggestivo al pensiero unico o almeno al pensiero dominante che plasma gli scaffali delle librerie. Non una fuga dal mercato, sia chiaro, ma un modo per ricordarci che in ambito culturale le sue logiche non possono limitarsi ad assecondare i desiderata del lettore come fosse l’acquirente di un aspirapolvere o di un suv, ma il frutto di un equilibrio complesso, negoziato, vitale.

Share This