EDITORIA
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IL LIBRO OLTRE MILANO-TORINO
Tempo di Libri è andata bene, adesso potete dormire sereni. Ma se accendete la luce…
E UNA È ANDATA – In fondo è bello sapere che le cose a Milano sono andate meglio. Tempo di Libri chiude con un sonoro 60% in più di accessi rispetto all’esordio dello scorso anno e inizia a guardare alla terza edizione, declinando senza troppi complimenti le proposte di riunificazione con il Salone. Tra cui la poco credibile idea di alternanza Milano – Torino proposta da Stefano Mauri, presidente del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol (per gli amici Gems). Va detto: l’aria che si respira non è velenosa come lo scorso anno, complice anche l’uscita di scena di buona parte dei protagonisti della querelle che ha animato per mesi il dibattito editoriale 2017. Però i puntini restano sulle i e dunque ognuno a casa propria. Solo i risultati della prossima edizione del Salone del Libro ci diranno se il mondo fieristico-editoriale è abbastanza grande per tutti e due gli eventi.
Il clima effettivamente è più disteso: quando Torino e Milano (leggasi Bray e Levi) siedono al tavolo del confronto, lo fanno con la consapevolezza che Piemonte e Lombardia hanno un patrimonio di lettori così numeroso da permettere la sussistenza di entrambi (Barbara Notaro Dietrich sul Corriere afferma che il pubblico di entrambi i festival proviene per l’80% dal rispettivo territorio regionale). Il problema resta dunque solo commerciale, a detta di alcuni editori partecipanti a Tempo di Libri. Perché in fondo bella la cultura, bello il reading, bella la boiserie. Bello, bello tutto. Ma quello che conta per gli editori è che in fiera si venda tanto da ripagarsi (adeguatamente) le spese di partecipazione. In fondo parliamo di fiere dell’editoria, mica del circolo dei poeti estinti.
DIGRESSIONE GEOGRAFICO-EDITORIALE – In questi giorni quel citato 80% di presenze provenienti dai territori regionali ha continuato a ronzarmi in testa, stimolandomi la riflessione meglio delle fave di fuca. Non sarà che il libro è un prodotto tale per cui il pubblico non è poi così motivato a spostarsi? Mi spiego: perché dovrei andare da Castropizzo a Milano per acquistare lo stesso libro Einaudi che posso comprare a Castropizzo? Per la presentazione del libro? Nah, troppo sbattimento. Mi imbarco per un viaggio se devo andare al concerto degli Stones, non per sentire mezz’ora live di Carofiglio.
Di sinapsi in sinapsi, arrivo ad un altro punto: tra un paio di mesi apre i battenti Napoli Città Libro, nuova fiera dell’editoria generalista intenzionata a colmare il vuoto lasciato quasi dieci anni fa da Galassia Gutenberg (evidentemente incolmabile invece quello lasciato dalle preposizioni). Gli organizzatori della fiera partenopea hanno pensato bene di aderire preliminarmente ad una non meglio definita rete dei festival del meridione, in cui trovano spazio circa 25 manifestazioni. Ora: di queste gli eventi espressamente dedicati al libro sono circa la metà e quelli dotati di una natura propriamente fieristica la metà della metà (e presentano numeri di espositori davvero divertenti). Le altre sono nobilissime manifestazioni di cultura, filosofia, letteratura e arti varie con grande personalità e scarsa commercializzazione.
La faccio breve: l’editore milanese che presenzia ad una fiera milanese e si lamenta che l’investimento non è abbastanza remunerativo a me fa un po’ sorridere. Quand’è che invece che il mondo dell’editoria – quella commerciale e mainstream, quella della Milano da bere, quella del bisinìss – si decide a investire sul serio e a farlo sotto la linea gotica, promuovendo vere fiere dell’editoria al sud che possano essere frequentate da un 80% di residenti abruzzesi, campani, lucani, pugliesi, etc.? Possibile che il massimo sforzo dell’AIE è quello di partecipare in fiera con uno “stand informatico ad hoc” (manco fosse l’ESA)?
È facile prevedere iniziali remissioni per le case editrici. Ma hai visto mai che si può iniziare coltivare la crescita dei lettori e la correlata capacità di spesa anche al sud?