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EDITORIA

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LA SCIENZA IN CUCINA E L’ARTE DI MANGIAR BENE:
TANTI AUGURI PELLEGRINO ARTUSI!

Duecento anni fa nasceva Pellegrino Artusi, l’autore di uno dei più gustosi e originali long seller nella storia della nostra editoria. 

Il suo titolo ufficiale è La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, ma chiunque lo conosca lo chiama col nome del suo autore: l’Artusi. Pubblicato nel 1891, nel corso di (quasi) un secolo e mezzo questo manuale di cucina sui generis ha visto succedersi oltre cento edizioni in sette lingue e vendere più di un milione di copie (alcune fonti parlano di oltre 3 milioni), affermandosi come il più longevo long seller culinario della storia. Ma i freddi dati non rendono giustizia ad una delle opere editoriali più originali e popolari del nostro Paese, che raccontiamo a ridosso del 4 agosto, data in cui ricadono i duecento anni dalla nascita di Pellegrino Artusi.

Prima di tutto bisogna chiarire cosa è l’Artusi, ovvero cosa non è. Non è il libro di ricette che consulti per fare bella figura con i tuoi suoceri o con la tua ragazza, né quello che ti salva quando hai poco tempo e una scatoletta di Simmenthal nella dispensa. L’Artusi è uno stile di vita, letteralmente. Settecentonovanta ricette che compongono un viaggio tra aneddoti, storia, economia domestica, biologia e – soprattutto – un manifesto ideologico. Un manifesto che lo stesso autore, in una delle introduzioni dell’opera, affida alle parole del poeta Lorenzo Stecchetti:

Se l’uomo non appetisse il cibo o non provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe subito. (…) Come è dunque che nella scala dei sensi i due più necessari sono reputati i più vili? Perché quel che soddisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte, si ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che soddisfa il gusto? (…) Deve essere pel tirannico regno che il cervello esercita ora su tutti gli organi del corpo. (…) Tutto è nervi, nevrosi, nevrastenia, e la statura, e la circonferenza toracica, la forza di resistenza e di riproduzione calano ogni giorno in questa razza di saggi e di artisti pieni di rachidite, di delicatezze e di glandule, che non si nutre ma si eccita e si regge a forza di caffè, di alcol, di morfina. Perciò i sensi che presiedono alla cerebrazione sono stimati più nobili di quelli che presiedono alla conservazione e sarebbe ora di cassare questa ingiusta sentenza.

È la fotografia di un clima culturale. I treni nel 1891 vanno ancora a vapore ma vanno, la gente comincia a lasciare la campagna per la città e questi originali intellettuali romagnoli denunciano una società in cui il valore dell’alimentazione cede il passo all’ansia della velocità e alle nevrosi della modernità. Ancora oggi spiluccare le ricette dell’Artusi trasmette una sensazione di calma e convivialità, tramandata con stile limpido da uno che non vuole spiegarci come si fa una zuppa, ma il perché si fa esattamente in quel modo, con quegli ingredienti e in quel periodo dell’anno. E anche perché quella ricetta viene da un luogo tanto specifico, nella maggior parte dei casi da uno di quei mille tasselli di un mosaico che da poco ha preso il nome di Italia.

Bisogna anche dire che si fa presto a parlare di calma e convivialità quando si è baby pensionati. Il nostro Pellegrino, classe 1820, dopo aver portato avanti la bottega di famiglia prima nella natia Forlimpopoli e poi a Firenze, neanche cinquantenne decide di aver messo da parte abbastanza da campare di rendita per il resto della sua esistenza, e così si ritira a vita privata con la sua cameriera Marietta e i suoi tre gatti. Finalmente può dedicarsi alla sua passione giovanile, che non è la cura dei baffi (sarebbe lecito pensarlo) ma scrivere. Per la precisione scrivere di ciò che più lo interessa: Ugo Foscolo. Proprio così, la prima opera pubblicata a firma di Pellegrino Artusi è una Vita di Ugo Foscolo, a cui seguono altre opere di saggistica letteraria. Ma se la mano destra scrive di letteratura, la prolifica mano sinistra continua sottotraccia a scrivere quelle ricette gastronomiche che dopo molte tribolazioni lo porteranno al successo.

Capitolo tribolazioni. La prefazione dell’Artusi contiene una manciata di pagine molto dettagliate sulle difficoltà incontrate per pubblicare l’opera, e sono pagine davvero appassionanti. Diverte l’idea che il primo parere sul suo manuale di cucina Pellegrino Artusi lo chieda ad un professore di Verona esperto di poetica foscoliana. Dai sepolcri ai sorbetti il passo non è proprio breve, e infatti il docente boccia senza appello l’idea editoriale. Seguono le bocciature da parte dei diversi editori a cui l’autore si rivolge, tra disinteresse diffuso e proposte commerciali inaccettabili al punto da mandarlo in escandescenze. Una casa editrice di Firenze arriva a rispondergli che un libro del genere l’avrebbe pubblicato solo se firmato da Gustavo Doney, l’ex gendarme di Napoleone che, dismessa l’artiglieria, aveva aperto una rinomata pasticceria nel capoluogo toscano. In preda a un moto d’orgoglio, Pellegrino Artusi autoproduce mille copie della sua opera, ma sembra non esserci niente da fare. Succede persino che ne invii un paio come premio per una riffa al suo paese natale e per tutta risposta i vincitori addirittura rifiutino quei libri, rivendendoli al tabaccaio. Allora inizia a battere le riviste letterarie, che però non hanno alcuna intenzione di recensire l’opera e quando la citano ne sbagliano il titolo… Ma Pellegrino Artusi nasce commerciante e non si arrende al fallimento di un investimento. Incontra Paolo Mantegazza, medico, antropologo e deputato del Regno d’Italia, che prende a cuore il libro e ne diventa efficacissimo testimonial: “Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni.” Né Mantegazza, né Artusi sapranno mai che proprio a partire da quel profetico endorsement, l’opera nel tempo sarebbe davvero arrivata a superare le cento edizioni.

Ma forse la cosa più curiosa di queste pagine di incipit sono le pagine stesse. La volontà di Pellegrino Artusi di raccontare dettagliatamente il mercato editoriale negli anni dell’Italia unita, un periodo in cui “gli editori generalmente non si curano più che tanto se un libro è buono o cattivo, utile o dannoso; per essi basta, onde poterlo smerciar facilmente, che porti in fronte un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la spinta e sotto le ali del suo patrocinio possa far grandi voli.” In realtà la storia dimostrerà che esiste qualcosa di più potente delle scelte operate dalle case editrici: la tenace determinazione di un autore e la potentissima rete di promoter formata da generazioni di italiche massaie.
Capita poi che un autore dimostri una personalità tanto interessante da trasformarsi in personaggio. Così è successo che il nostro Pellegrino, proprio in compagnia di Paolo Mantegazza, si ritrovi per la seconda volta protagonista del romanzo Il borghese Pellegrino di Marco Malvaldi (Sellerio, 2020), già celebre papà dei delitti del Barlume. Il nuovo libro è un enigma della camera chiusa che, con la “scusa” del giallo, ricostruisce il clima socioculturale in cui venne pubblicata l’opera di Pellegrino Artusi (epoca evocata molto bene nel gustoso video-dialogo tra Marco Malvaldi e Alessandro Barbero, che vi proponiamo in coda all’articolo). 

N.B.: Naturalmente duecento anni non sono un anniversario che capita tutti i giorni, e a Forlimpopoli lo sanno bene. Non perdete la XXIV Festa Artusiana, che si terrà dal 1° al 9 agosto nella cittadina romagnola: nove giorni di gastronomia, cultura e intrattenimento per celebrare il padre della cucina italiana. E risarcire così quella vecchia offesa della riffa…

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