EDITORIA
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LA LIBRERIA RIPENSATA
Partendo dal Titanic, un libero ragionamento sul futuro possibile del luogo della lettura per antonomasia
Lo scorso mercoledì 29 agosto un articolo apparso su Modena Today ha riportato alcune preoccupate dichiarazioni della locale SIL – Confesercenti (il Sindacato Italiano Librai e Cartolibrai) circa il destino delle piccole librerie. L’articolo prende le mosse dalla drastica diminuzione delle librerie indipendenti presenti nella città emiliana, passate negli ultimi anni da dodici a quattro unità. Si tratta di un trend diffuso a livello nazionale (a Genova hanno chiuso i battenti altre due piccole librerie) e, come da tradizione, l’articolo non si sottrae dal mettere in correlazione il tasso di mortalità delle librerie con l’esplosione di Amazon e con i vantaggi economici della grande distribuzione, invocando un intervento normativo che ponga un freno alla deriva, magari introducendo una tassazione ad hoc proprio per il commercio elettronico e la GDO. Insomma: qualcuno intervenga per allontanare i bulli dai ragazzini con gli occhiali, già lividi per i colpi subiti.
Da parte nostra, pur condividendo la preoccupazione per questo fenomeno, continuiamo a proporre il ribaltamento della chiave di lettura: ridurre la causa dell’estinzione delle librerie convenzionali al fattore prezzo/scontistiche è come affermare che il Titanic è affondato per colpa di un iceberg. Non fate quella faccia: i mari del nord sono pieni di iceberg, lo sapevano anche prima del 14 aprile 1912. Il Titanic è andato a picco perché non ha saputo evitarlo, l’iceberg, cambiando rotta finché era in tempo. In concreto: non è più possibile concepire la libreria come un luogo in cui si pascola in mezzo a scaffali di libri per comprare l’ultima uscita di Alessandro D’Avenia. Sul web la pago meno e me la portano pure a casa. Non è pensabile che sia il fattore prezzo a costituire il campo di battaglia in cui si affrontano biblioteche indipendenti, GDO e e-commerce: le prime ne usciranno sempre con le ossa rotte, anche con l’aiuto di ipotetiche gabelle a carico dei giganti. La sopravvivenza delle librerie passa attraverso il completo ripensamento delle loro funzioni in chiave innovativa e sperimentale, in cui la dimensione di acquisto costituisca soltanto uno degli ambiti strategici.
Non sono ancora abbastanza concreto? Allora vi propongo due esempi. Il primo è il Concept Store aperto da CoopCulture nel museo Salinas di Palermo. Un bookshop dove l’utente può acquistare i biglietti del museo e libri d’arte, assistere ad un concerto, prendere un caffè e assaggiare prodotti a chilometro zero. Attenzione: non solo prodotti gastronomici, ma anche editoriali a chilometro zero, realizzati da case editrici locali che non hanno accesso ai grandi circuiti commerciali (siano essi GDO o web based). Di più: nelle intenzioni di CoopCulture lo store sarà anche un Culture Hub, il luogo deputato ad ospitare un palinsesto di eventi frutto di un percorso partecipativo che coinvolga associazioni e altri soggetti locali operanti in ambito culturale.
Anche il secondo esempio è meridionale, ed è la Scugnizzeria aperta a Scampia da Rosario Esposito La Rossa. Un luogo deputato a spacciare cultura e promuovere la bibliodiversità, che a sua volta è figlio della casa editrice Marotta & Cafiero. Naturalmente in questo caso la libreria si innesta su un’esigenza prettamente sociale, che tuttavia non deve ridurre l’idea dell’iniziativa a “semplice” benemerenza. Perché di fatto nei suoi 140mq si svolgono le stesse funzioni del Concept Store del Museo Salinas, declinate però sulle specificità territoriali della periferia napoletana. La Scugnizzeria non è (solo) l’esperimento sociale destinato alla redenzione di ragazzi difficili, ma il prototipo di quello che la libreria deve diventare. Ovunque.
La libreria che vuole vivere (e non sopravvivere) nel terzo millennio ha l’onere di mettere al centro l’utente e il territorio, cogliendone aspettative e bisogni. Deve abbandonare l’ottica push del bestseller per offrirgli un’esperienza culturale a 360° che renda desiderabile il fatto stesso di trascorrere qualche ora nel locale, prima che l’acquisto del libro. È la dimensione dell’accoglienza che può costituire il tratto distintivo della libreria rispetto ad Amazon o IBS o all’acquisto di libri scontatissimi tra gli scaffali dei supermercati. È la promessa di poter spendere tempo libero in un contesto confortevole, non necessariamente per comprare ma anche per ascoltare, degustare, scoprire, farsi consigliare. Incontrare gli autori dei libri oppure assistere a reading, posizionarsi nell’immaginario collettivo come hub culturale complesso in grado di ospitare l’enorme produzione culturale amatoriale di prossimità. Una funzione che può essere assolta in contesti periferici, superando la concentrazione nei grandi centri urbani in cui è difficile sopravvivere alle major (gli store Feltrinelli, Mondadori, Giunti, etc.). Ma anche in fasce orarie “periferiche”, magari serali, per favorire l’incontro con una platea di potenziali fruitori privi di tempo libero durante le ore diurne. Andare in libreria come si va a teatro o al cinema, perché no?
Di fronte a questa visione gli interventi legislativi necessari dovrebbero essere finalizzati a semplificare la normativa sulla somministrazione di cibi e bevande, a consentire un credito di imposta alla libreria che intende rinnovarsi, a scontare la pressione fiscale nei confronti di chi decide di insediarsi in località periferiche per alimentarne l’offerta culturale.
Naturalmente in questo articolo abbiamo voluto generalizzare per offrire una serie di idee e spunti di riflessione, sicuramente non tutti efficaci e non tutti perseguibili. Ma dopo anni, riteniamo arrivato il tempo di abbandonare l’estenuante e infruttuoso dibattito sulla scontistica editoriale e iniziare ad investire energie nella definizione di nuove rotte.