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EDITORIA

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SUL FRONTE: RACCONTARE LA GUERRA
INCONTRO CON LUCIA GORACCI

Ingegno Grafico ha dedicato al giornalismo l’incontro primaverile del ciclo Diàlogos. Lucia Goracci, reporter di Rai News ha accettato di incontrare il pubblico di Subiaco per raccontare la sua professione.

È stato un incredibile viaggio nel giornalismo di guerra quello intrapreso lo scorso 28 marzo nell’Aula Magna dell’Istituto Braschi-Quarenghi di Subiaco attraverso le parole di Lucia Goracci, corrispondente RAI da Instanbul (ma più in generale dai principali teatri di guerra del Medio Oriente). Accettando l’invito di Ingegno Grafico, la giornalista ha aperto una finestra sul reportage dal fronte con una narrazione limpida e appassionata, che ha saputo accendere gli sguardi dei tantissimi intervenuti tra cui quelli “difficili” degli studenti. A loro in particolare è stata offerta un’occasione di riflessione su un ambito che tocca numerosi, fondamentali temi di attualità e di dibattito.

L’incontro ha preso le mosse dallo scenario di guerra in Siria, con un excursus lucido e asciutto sulle forze in campo, sulla nascita dell’ISIS e su episodi chiave del conflitto. Come la liberazione di Palmira, che la Goracci ha potuto testimoniare per prima grazie all’intuizione di non abbandonare il fronte nel momento in cui sembrava che le notizie si spostassero altrove. Cita uno dei suoi principali punti di riferimento, il giornalista bielorusso Ryszard Kapuscinski, a proposito dell’importanza di restare in un luogo sempre un po’ più a lungo degli altri: saper aspettare senza inseguire compulsivamente la notizia è un punto chiave del suo metodo di lavoro. Una caratteristica che assume contorni etici quando si tratta di tornare sui teatri di guerra dopo la fine di un conflitto, per raccontare cosa succede nel momento in cui le macerie smettono di essere sotto i riflettori.

L’adesione ad una deontologia, personale ed etica prima ancora che professionale, è qualcosa che torna continuamente nel discorso di Lucia Goracci. La capacità di immergersi nelle storie da raccontare mantenendo un certo distacco (viene in mente lo splendido film di Mazzacurati “La giusta distanza”, incentrato proprio su questo tema), saper capire e riportare le ragioni di tutte le parti in campo senza parteggiare. E poi il rispetto nei confronti del dolore umano: alla precisa domanda posta dagli studenti, la giornalista risponde che no, non tutto può essere mostrato. È necessario preservare il profondo pudore di chi subisce la guerra, per salvaguardarne la dignità.

Centrale è la riflessione sul ruolo del reporter nell’era della comunicazione digitale e del web partecipato, in cui gli stessi protagonisti delle vicende diventano parte attiva nella loro narrazione. Ma anche dove chiunque può farsi produttore di fake news o distorsioni della realtà. In questo contesto, che Lucia Goracci considera la concreta espressione dell’Aleph di Borges, il giornalista di guerra ha una fondamentale responsabilità: quella di accertare alla fonte – o almeno il più vicino possibile alla fonte – la veridicità dei fatti. Nel farlo vive la difficile condizione di dover bilanciare con attenzione l’attendibilità di una notizia e la necessità di comunicarla con la rapidità a cui lo obbliga il costante e frenetico flusso di informazioni in cui tutti siamo immersi.

Il suo racconto è vivido anche nell’affrontare il lato più ordinario del suo lavoro. Il concorso vinto per entrare in RAI e i suoi esordi al TG3 di Antonio Di Bella, oggi direttore di Rai News. Ricorda l’ambiente cupo e apprensivo di quella redazione che da poco tempo aveva subito la perdita di Ilaria Alpi, reporter uccisa nel 1994 a Mogadiscio insieme al suo operatore Miran Hrovatin. Quasi un passaggio di consegne tra giovani donne che hanno fatto del coraggio l’astuccio della propria penna. Le ragazze in platea si appassionano: vogliono sapere che cosa significhi essere un reporter donna. La risposta non può essere univoca. Lucia Goracci spiega che le differenze sono collegate al paese in cui si esercita: in alcuni paesi mediorientali l’essere donna può essere un vantaggio, perché essendo percepita come inoffensiva porta gli interlocutori ad “abbassare la guardia”. In luoghi come l’Afghanistan, invece, dove la donna è considerata profondamente inferiore, il lavoro di una giornalista è nettamente più complicato rispetto a quello di un uomo.

Sono infine gli aneddoti di una vita a suggestionare la mente della platea. La fortunosa intervista al presidente turco Erdogan, così imprevista da rendere necessario l’acquisto di un paio di scarpe nuove (e troppo grandi), e quel libro della Fallaci regalatole dalla mamma quando aveva appena nove anni. Quindi i racconti di guerra dei nonni, che riconosce essere uno dei motivi per cui ha scelto la sua professione. «Non sono mai stato tanto attaccato alla vita»: Lucia Goracci cita la trincea di Ungaretti per spiegare che non è tanto la guerra ad attrarla, ma quella straordinaria dignità «che resta attaccata agli uomini» in momenti tanto drammatici. Raccontare quella dignità è diventata presto la sua vocazione e la chiave di volta di una carriera straordinaria.

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